Ivana e Giovanni Vermiglio – Isola delle femmine

Noi nati delle isole abbiamo un rapporto complesso con il mare. Un rapporto che vive su una linea sottile che oscilla tra vederlo quale oggetto di desiderio ed attrazione, e luogo di timori e paure.

Oltre questa linea vivono i pescatori. Un rapporto che fa pensare alla condizione di un amante non sempre interamente ricambiato.

Il mare è traditore dice Giovanni Vermiglio. Un pescatore di Isola delle Femmine. Un pescatore anomalo nella misura in cui ha scelto il mare da bambino pur non essendo una vocazione di famiglia. L’ho incontrato a mercato di Isola delle Femmine. Non ha voluto dire nulla su di se o sul suo lavoro. Mi ha solo parlato, con orgoglio, di sua figlia che studia la toponomastica dei luoghi di mare.

Ivana Vermiglio ha in corso un progetto di ricerca con il prof. Ruffino e la prof.ssa Castiglione dell’Università di Palermo.

È lei a raccontarmi che il padre, pur non essendo figlio di pescatori, si imbarcò per la prima volta ad otto anni, scoprendo per questo lavoro un amore che ancora oggi coltiva.

Con lei abbiamo parlato di mare, di pesca, della comunità siciliana di pescatori. La conversazione con Ivana ha un che di unico nel suo genere. Nel suo mestiere di ricerca ha bisogno di informatori, ovvero persone che appartengono ad un ambito culturale e possono dal di dentro dare informazioni. In questa conversazione è stata lei l’informatrice. Mi ha raccontato come è il mondo della pesca artigianale visto dal di dentro. Ed anche cosa pensa e fa un pescatore nella sua giornata. Il punto di vista privilegiato di una figlia che per mestiere deve avere uno sguardo attento e che allo stesso tempo è emotivamente parte del racconto.

La marineria di Isola delle Femmine è una marineria ancora attiva e consta di circa cinquanta imbarcazioni. È parte del tessuto culturale della cittadina, e come riferisce Ivana, è un motivo di orgoglio per la comunità. Il motivo è anche legato al futuro prossimo che riguarda la piccola pesca artigianale siciliana, destinata a scomparire, ed ormai scomparsa in molte delle comunità marittime del litorale.

La pesca artigianale è un mestiere antico, probabilmente superato dai tempi, reso poco vantaggioso dalle normative sulla pesca che hanno ridotto non poco il raggio di azione dei pescatori, e quindi reso poco remunerativo il lavoro. A questo si aggiunga la fatica enorme ed i tempi necessari per la pesca che sono un sacrifico non solo per il pescatore ma anche per la famiglia che lo aspetta a terra.

Teniamo conto che la giornata tipo di pesca inizia la sera, si conclude la mattina e prosegue con la vendita del pesce sulla banchina. Sono alcune ore di preparazione prima di salpare, il lavoro di pesca notturna che può arrivare anche a 12 ore, e quattro o cinque ore per la vendita. Giusto il tempo di pranzare, riposare qualche ora e si è già in movimento per la giornata successiva.

Giovanni Vermiglio con il banchetto del pesce di giornata

 

Certo sulla barca, da soli si ha tempo per pensare e riflettere lontani dalla frenesia del nostro tempo. Un lavoro, commentiamo con Ivana, che richiede una forte vocazione alla solitudine. Una vocazione che le è chiara nello sguardo del padre, quando qualche amico chiede di accompagnarlo in mare, uno sguardo che lascia trasparire come questa improvvisa compagnia vada a turbare un rituale personale e consolidato di solitudine.

 

 

Ivana mi spiega di quanto sia stato condizionante per la vita familiare l’attività lavorativa del padre. Da sempre i cicli della famiglia sono legati dai cicli della pesca. Ad esempio le battute di caccia notturne, come la pesca ai totani o quella del pesce spada, nel periodo primaverile, che impegnano per tutta la notte. Cosi come la stanchezza che rende necessario destinare molto spesso il poco tempo a terra per dormire. I tanti sacrifici e rinunce della famiglia dovute all’assenza del padre.

Giovanni Vermiglio dopo una battuta di pesca.

L’impegno coinvolge tutta la famiglia e vede impegnata anche la madre di Ivana come interlocutore e sostegno e parte attiva del lavoro del marito. Quasi come fossero due pescatori, uno perennemente a mare, l’altra perennemente a terra.

Il mare è traditore, dice Giovanni, un luogo che conosce bene, nel quale passa intere notti, un luogo del quale non ha paura, nel quale trova tempo e lentezza per stare in solitudine, ma rispetto al quale ha anche un silenzioso rispetto dato dalla consapevolezza che non si hanno mai in mare certezze o sicurezze. Forse per questo porta la figlia con se solo nelle calme notti di estate. Che immagino spese in questa condivisione di solitudine, e che si concludono, racconta Ivana, in un bagno la mattina sulla via del rientro.

La parte più inquietante del rapporto con il mare è per Ivana relativa soprattutto alla notte.

Nei ricordi di bambina il timore della notte, apre a ricordi cupi: la vicenda di Orazio u luongo, morto in mare nel tentativo di salvare la barca dopo un malore, e la storia di un pescatore, già grande di età, che nella sua infanzia è rientrato con il braccio tra le mani a seguito di un incidente.

Bello ed inquietante, sono gli aggettivi usati da Ivana.  Il mare di giorno è casa. La notte è minaccioso. Una minaccia che sembra magicamente svanire all’alba quanto tutto finalmente schiarisce.

Se il mare è traditore è comunque un compagno, non un avversario. A mare i pescatori hanno dei nemici. Sono i delfini. Ghiotti soprattutto di totani, possono rendere del tutto vana con la loro presenza una intera battuta di pesca. Quando accade arriva la telefonata sconfortata, oggi non è giornata. Il racconto della telefonata tradisce quanto l’attività di pesca sia una questione familiare e quanto le vicende della battuta riguardino tutta la famiglia.

La pesca è nella nostra cultura e tradizione un lavoro maschile. Non ho chiesto ad Ivana se avrebbe fatto il pescatore se avesse potuto. Perché in qualche modo lo fa. Ivana ha in corso un progetto di ricerca. Come orgogliosamente riferiva il padre, sui toponimi della pesca in Sicilia.

Il progetto di ricerca si concentra sulle isole minori siciliane. Alla ricerca di dati e toponimi nelle isole Egadi, Pelagie, Ustica, Pantelleria con uno sguardo fino a Malta. Malta conserva un elemento romanzo nella lingua locale, in tutta evidenza collegato con il siciliano.

Il progetto di ricerca di Ivana è a mio avviso estremamente prezioso. Le comunità di pescatori sono comunità fortemente chiuse. Lo sono al punto che la toponomastica della costa è oggi trasferita per via orale ed è valida generalmente dentro la comunità. Al punto che lo stesso luogo può essere indicato in due modi diversi da due comunità marittime limitrofe.

Circostanza questa che lascia comprendere quanto ogni marineria viva chiusa ed interagisca in modo poco permeabile con le marinerie limitrofe.

Le comunità hanno inoltre un proprio lessico tecnico, molto specifico. Ivana mi fa l’esempio della parola Variu. Una parola non presente neanche nel vocabolario siciliano.

Per Variu si intende un occhio di sabbia all’interno di un fondale roccioso. Il Variu cu l’Uissa è per gli isolani una specifica formazione che si trova nella zona di Villagrazia di Carini. Un luogo facilmente identificabile per un pescatore di Isola. Ma non altrettanto per uno di Sciacca o Riposto.

Ivana e Giovanni Vermiglio

Nomi e lessico sono gli strumenti attraverso i quali diamo forma alla nostra conoscenza. La scomparsa progressiva delle comunità marittime dei borghi marinari porterà con se alla perdita di una grande quantità di preziose informazioni sul territorio e sull’ambiente. Un sapere che si tramanda per via orale da generazioni.

In questo senso il lavoro di ricerca di Ivana è a mio avviso indispensabile ed urgente, questa preziosa mole di informazioni e sapere è destinata a scomparire con la progressiva scomparsa della pesca artigianale.

Nell’addentrarmi nelle comunità marinare della Sicilia mi aspettavo di essere sorpreso da racconti di avventure di mare. Storie di pescatori. Racconti. Come per i ragazzi i Isola Pesca, che stanno evolvendo la tradizione di pescatori verso attività di impresa a più alto reddito. Anche in questo caso il fascino del mare è fuori da mare, raccontato dal modo molto personale adottato da Ivana per mantenere il rapporto con l’amato mondo paterno offrendosi come ponte verso una cultura antica che probabilmente senza questo suo lavoro sarebbe destinata a non lasciare traccia nella nostra memoria collettiva.

Condividi sui social